Prendere in esame la situazione fiscale della Romania può offrire degli spunti interessanti sulla gestione da parte dell’Unione Europea delle contabilità dei paesi aderenti. La Romania sta attraversando una situazione di sostenibilità dei conti pubblici particolarmente difficile. Da anni registra un continuo aumento del debito pubblico e del proprio deficit, e in contemporanea le esportazioni calano drasticamente. Una situazione tanto complicata che rischia di perdere l’accesso ai fondi europei a causa della tenuta poco rigorosa dei propri conti pubblici. Sarebbe la prima volta nella storia dell’Ue che a un paese membro venga tolta la possibilità di spesa dei fondi di coesione per un eccesso di disavanzo pubblico. Il 28 novembre la Commissione europea pubblicherà il pacchetto annuale del semestre europeo, che includerà una valutazione delle misure adottate dal governo rumeno. Per la Commissione se la spesa pubblica sarà cresciuta oltre il 2,8% al governo guidato dall’europeista Ilie Bolojan verrà precluso l’accesso ai fondi di coesione europei.
Non è affatto scontato che Bucarest riesca a scongiurare la sanzione: secondo quanto stabilito dalla commissione entro il 2030 il disavanzo annuale della Romania dovrà scendere dal 9,3% del Pil attestato al 2024 (quest’anno dovrebbe essere all’incirca tra l’8,4% e l’8,6%) per arrivare a un 2,8% entro cinque anni. Uno scenario tutt’altro che scontato. Per rendere ancora più chiaro il quadro basti pensare che il debito pubblico rumeno nel 2014 era del 39,1%, e per quanto il governo rumeno riesca a porsi sulla traiettoria tratteggiata da Bruxelles, avrà comunque conosciuto un aumento del 50% entro il 2030. Il quadro si fa ancor di più preoccupante se si guardano le performance economiche: nel 2024 la Romania è cresciuta dell’0,8%, e secondo le previsioni della Commissione sarà dell’ 1,4% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Numeri decisamente deludenti per un paese non affatto ricco. Questi sono i limiti di un’economia troppo esposta a fattori esterni e che poco poggia su pilastri importanti: la dimensione d’impresa della Romania è in buona sostanza scandita da piccole attività incapaci di competere su mercati di scala più ampia.
Un potenziale fattore che determinerà la ripresa economia della Romania potrà essere senza dubbio la capacità di spesa dei fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza post pandemia – il Recovery Fund – che scadrà proprio entro 10 mesi. Dossier del Parlamento europeo hanno rivelato di come la Romania sia riuscita a spendere neanche il 38% delle risorse disponibili assegnate. Mancano ancora da richiedere circa 17,8 miliardi di euro sui 28,5 totali. Tutto questo andrà fatto entro il 2026, i tempi non sono di certo dilatati. Lo scenario diventa ancora più complicato se si considera che la Romania ha raggiunto soltanto 139 dei 518 obiettivi previsti per l’erogazione dei fondi.
Alla luce di tutto ciò si possono trarre delle considerazioni poco felici sull’operato deterrente di Bruxelles nei confronti dei paesi poco prudenti in materiale fiscale: le procedure d’infrazione per eccesso di disavanzo non sono efficaci. La Romania è sotto procedura dal 2020 e non è affatto scontato che ci esca entro il 2030. Questo perché le politiche di rientro dal disavanzo incontrano spesso ostacoli di applicazione e revisioni costituzionali: tradotto significa che spesso i governi mal volentieri adottano quelle politiche necessarie per la riduzione del deficit, con forti resistenze popolari ai tagli della spesa pubblica. Il caso rumeno mette davanti tutti i limiti della politica di coesione dell’Ue come strumento di modernizzazione dei paesi più poveri. La Romania avrebbe dovuto rappresentare un caso di successo se questa strategia si fosse rivelata efficace, eppure come si è visto ha non poche difficoltà a spendere i fondi che riceve da Bruxelles. Infine, le difficoltà economiche di paesi come la Romania indeboliscono il peso geopolitico dell’Ue: la politica di allargamento dell’Unione Europea avrebbe dovuto stabilizzare politicamente i paesi membri e rafforzarli da un punto di vista economico, far accrescere così il prestigio dell’Ue nel mondo, cosa che come ben si sa non è sempre stata scontata, anzi.

